Chiara Spinelli: project manager very Eppela

Segni particolari: tantissimi. Innazitutto il DNA profondamente toscano, il rimpianto della carriera giornalistica (come la capisco!), un tasso di creatività decisamente sopra la media e, soprattutto, una spiccata tendenza a rinascere sotto nuove spoglie. Ecco Chiara Spinelli:

“Ho 33 anni, sono nata e vivo a Pisa. Ho studiato storia del cinema, l’amore assoluto dei primi 24 anni di vita, e ho sempre amato scrivere. Pensavo di non essere abbastanza creativa, ma mi sono smentita da sola finendo a fare il lavoro più bello e creativo del mondo, il copywriter. Dopo qualche anno ho iniziato ad occuparmi di comunicazione in una delle realtà pubbliche più affascinanti d’Italia, la Scuola Normale Superiore di Pisa. Poi è arrivata Eppela… e forse la bilancia della mia vita, sospesa tra ordine e follia, tra creazione e razionalità, ha trovato finalmente il suo equilibrio”.

Per chi ancora non conosce Eppela (ma cosa aspettate!) ecco qualche info di servizio. Si tratta di un progetto di crowdfunding che permette di condividere online nuove idee in arriva dal mondo dell’arte, della tecnologia, della musica, del no profit e tanto altro ancora… e di raccogliere fondi per la loro realizzazione. Il meccanismo è semplice: il creativo ‘posta’ (gratuitamente) il suo progetto sul sito di Eppela e fissa il budget minimo per realizzarlo, con relativa data entro cui raccoglierlo e originali ricompense per i sostenitori. A questo punto entra in gioco la community che valuta, sceglie, diffonde.

Abbiamo chiesto a Chiara di parlarci dei progetti culturali che sono arrivato a Eppela. 

Fanno di sicuro la parte del leone. Calcolando tutto il complesso delle proposte di progetto che ci sono arrivate in 8 mesi (più di 600), direi che siamo a un buon 80/85%. Le motivazioni di questa prevalenza sono molteplici.

Al primo posto c’è senz’altro la crisi, che ha fatto sì che ad esempio per un settore come il teatro molte piccole compagnie si siano trovate prive di quegli strumenti di sostegno pubblico da parte di Comuni, Province e Regioni che i tagli hanno completamente prosciugato.

Un altro buon motivo è senz’altro l’entità dei budget richiesti. Attraverso il crowdfunding si possono raccogliere anche grandi cifre (l’esperienza all’estero, dove questo meccanismo è consolidato, ce lo insegna), ma in Italia in questo momento i 5.000/10.000 euro sono senz’altro la soglia oltre la quale qualsiasi progetto fatica a raggiungere il successo. Con quelle cifre si realizza di sicuro un cortometraggio indipendente e si sostiene una piccola produzione teatrale che ha anche altre forme di sponsorship.

La prevalenza dei progetti culturali non è certo un unicum del nostro paese. Kickstarter, la “mamma” di tutti i siti di crowdfunding, è nata seguendo i progetti di teatro, musica, arte e cinema indipendente dell’area newyorchese (tradizionalmente alternativa all’industria culturale della California), anche se adesso fa notizia per i mostruosi budget raccolti dai progetti di design e tecnologia. Ma i progetti culturali restano comunque largamente prevalenti anche per loro.

Quali sono, nell’ambito culturale, i settori più presenti? 

Sicuramente il cinema, con cortometraggi e anche medio e lungometraggi. Il secondo progetto andato a buon fine attraverso Eppela è stato proprio un corto, “Quell’estate al mare”, proposto da due giovani cineaste di Milano, Anita e Irene, che sono state molto brave a confezionare un buon progetto (e un video molto, molto carino!), e anche a catturare e convogliare i propri contatti verso la loro campagna di crowdfunding.

Attualmente abbiamo in fase di richiesta finanziamento due corti horror realizzati da studenti di cinema, un ambizioso lungometraggio ad episodi e un progetto professionale, il film “Non scomparire!” di Pietro Reggiani, che ha deciso di finanziarsi totalmente attraverso canali alternativi, attivando la campagna di crowdfunding sull’Italia attraverso Eppela e sugli Stati Uniti attraverso Indiegogo.com.

Anche per il teatro abbiamo online buoni progetti, ma nessuno che abbia ancora raggiunto il successo. Qualche progetto fotografico, pochissima musica, quasi niente di letterario. Mi piace segnalare un bel progetto di un artista napoletano, Banne, che è attualmente online e che chiede fondi per realizzare una mostra a Castel dell’Ovo dedicata ai grandi musicisti afroamericani.

Quali le caratteristiche tipiche dei progetti culturali che arrivano a Eppela?

Punti forti: sono belle idee, segno che l’humus culturale del nostro paese è vivo e la creatività non è appannata.

Punti deboli, debolissimi: l’incapacità di farsi autopromozione. Gli artisti in Italia hanno troppo spesso una vena di snobismo e una concezione “assistenzialista” del sostegno economico ai loro progetti. Il crowdfunding è un sistema del tutto meritocratico: se sai promuoverti, individuare il tuo pubblico e parlargli facendo leva sull’interesse comune, su un circuito di fiducia reciproco e su interessi culturali condivisi, non ci saranno scorciatoie o favoritismi a ostacolarti la strada.

Iniziare una campagna di crowdfunding significa parlare a un popolo democratico e trasversale come quello della rete; significa metterci la faccia, e farlo senza nascondersi dietro i filtri dei ruoli e delle posizioni acquisite. Molti dei nostri artisti parlano di se stessi in terza persona quando scrivono un progetto. Sembra che per accreditarsi presso un pubblico si debba necessariamente “tenere una parte”. Invece il crowdfunding funziona quando persone (o gruppi di persone) che hanno una buona idea parlano direttamente ad altre persone.

Chiudersi nelle torri d’avorio non serve e alimenta la distanza tra l’arte e il pubblico.

Un difetto molto italiano, non trovi?

Direi di si. Gli americani lo hanno capito da molto tempo: per loro l’arte è un’industria, più delicata di altre, ma pur sempre un circolo virtuoso alimentato da consumatori. Sono stati bravissimi a creare profitto attraverso la loro industria mainstream ma anche ad alimentare un canale alternativo e diretto come il crowdfunding, che ormai genera un movimento di fondi imponente.

Spesso in Italia sembra che a pensarla così si cerchi di svendere la pura arte, di farla prostituire… ecco, questo è il difetto più grande, senz’altro. Non scendere dal piedistallo, e osare. E c’è anche altro di cui non andare fieri….

Cioè?

Molti operatori culturali che ci hanno scritto sono spaventosamente non-digitalizzati. Registrarsi a un sito, aprire un conto su un sistema di payment gateway, iscriversi ai social network e gestire attraverso di essi i propri contatti sembra un’impresa titanica in un paese come il nostro, in cui la digitalizzazione della popolazione è al livello della Lituania (vedi le ultime statistiche) e i milioni di smartphone venduti vengono usati solo per telefonare e inviare sms. Qui ci aiuteranno le nuove generazioni che si stanno affacciando alla ribalta, i nativi digitali, e il tempo. L’educazione ad usare questo tipo di strumenti è secondo me una delle leve dello sviluppo anche culturale dell’Italia.

Il futuro visto dal pianeta Eppela come è?

Il futuro è una grande scommessa. Parlare di Eppela e del crowdfunding è il mio impegno quotidiano, insieme al pianificare quotidianamente la vita e lo sviluppo della mia “creatura”, come ogni buon project manager che si rispetti. La comunicazione e il dialogo su questi temi sono l’unica via per diffondere questa cultura e far si che non solo il nostro progetto, ma molti altri prendano vita.

Mi interessa che si diffonda il senso di una opportunità, in cui sono le persone stesse che si mettono in gioco, al di là dei filtri delle istituzioni, i lacci della politica, le scelte condizionate dell’industria.

Le istituzioni non osano più investimenti culturali, schiacciate dalla crisi? Facciamo la nostra parte, diamo l’esempio. Dimostriamo che il paese vuole e chiede cultura. Il mercato e l’industria ci condannano a prodotti preconfezionati e livellati verso il basso? Facciamoci sentire. Diciamo ad alta voce che ci sono progetti che ci interessano e che meritano di parlare a un pubblico più grande.

Ultima domanda, ti ricordi il tuo primo incontro con la cultura?

Il libro di Laura Orvieto “Storie della storia del mondo”, mia cugina lo portò con sé durante le cavanze di Natale a casa dei nonni. Dopo pochi giorni costrinsi mia mamma a comprarlo anche a me. Se ripenso alla gioia con cui divoravo quelle pagine (e quelle che seguirono), credo proprio che tutto sia nato da lì.

Non so voi, ma io sono pronta per l’applauso!! Grande Chiara 😉

 

 

 

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