Teresa Porcella e la storia (un po’ magica) della libraia che ama i silenzi quasi più delle parole

La richiesta potrebbe suonare strana, ma vi assicuro che ho le mie (buone) ragioni per farla. Vorrei che questa intervista, piuttosto che leggerla, voi possiate ascoltarla come una fiaba. Magari a occhi chiusi, immaginandovi in riva al mare con una conchiglia a farvi da ‘cantastoria’.

Capisco non sia un’idea facile da realizzare, ma perché non provare una volta a lasciarsi andare alla fantasia e a un pizzico d’inventiva?

In fondo è quello che fa da sempre la protagonista di questa intervista “made in culture”, Teresa Porcella, e con risultati decisamente positivi.

Teresa è una sarda doc, acqua salata nelle vene e un cuore che batte (forte) alla vista delle sue montagne, ha scoperto l’amore per tutto ciò che è raccontograzie a una famiglia un po’ speciale e da quel momento la sua vita ha preso la forma di un libro.

Se c’è un mestiere che ha a che fare con i libri, soprattutto per ragazzi, Teresa lo ha fatto. Anzi, se vogliamo proprio essere sinceri, tutti i mestieri che Teresa incontra per la sua strada si trasformano in qualcosa di ‘libresco’.

Tra le sue ultime ‘magie’ una libreria, Cuccumeo (in sardo “gufo” o “civetta”), nata dal sodalizio con due socie altrettanto books lovers e premiata come migliore libreria per ragazzi 2014, e la direzione della sezione ragazzi del Festival letterario di Gavoi“Isola delle Storie”.

A questo punto, se siete pronti, non resta che chiudere gli occhi e ascoltare.

Come si vince il Premio Roberto Denti migliore libreria per ragazzi 2014?

Cercando di mantenere una doppia dimensione: quella di servizio al territorio, siamo nati a Firenze come libreria di quartiere; e quella che nasce dal desiderio di allargare i propri confini con una programmazione che preveda la presenza di autori, illustratori ed esperti che arrivano da tutto il mondo. L’obiettivo è proporre incontri di qualità che ci permettano di ampliare il nostro raggio di azione per diventare un centro, noi che siamo nati in una semi-periferia.

“Se c’è qualcosa che ha a che fare con i libri, qui succede!” è una delle frasi con cui vi presentate: a cosa si riferisce?

Rappresenta la storia della nascita di questa idea. A me è venuta in mente perché racchiudeva un percorso personale: ho lavorato come editor, scrittrice, organizzatrice di eventi, ho insegnato letteratura per l’infanzia all’università e progettato e realizzato percorsi di lettura ad alta voce. In pratica mi mancava solo il ruolo di libraia.

Un’esperienza che si è realizzata nel 2011 grazie al gioco di squadra con due socie: Elena Cavini, cantante lirica abituata a lavorare con le narrazioni sotto forma musicale, e Bianca Belardinelli, storica dell’arte impegnata in diverse vesti nell’editoria per ragazzi. Avevamo iniziato a collaborare all’interno di Scioglilibro, un’associazione di promozione della lettura che avevo fondato nel 2005.

Da libraia è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con il mondo della lettura?

Il mestiere di libraio è un osservatorio importantissimo, una vera palestra di comunicazione. Al libraio specializzato nel settore ragazzi capita spesso di leggere a voce alta e di avere a che fare con un lettore collettivo, il suo è un ruolo soprattutto di mediatore. Umberto Eco diceva che il libro è una macchina pigra, se qualcuno non la fa partire, sta ferma. Questo ci ricorda che le storie sono sempre per metà di chi le scrive e per metà di chi le legge.

Nella dimensione della lettura individuale, molto intima, esistono dei tempi imprevedibili: c’è il tempo dell’abbandono, quello del ritorno, della lettura ripetuta e il tutto è scandito da una pulsazione che è quella del battito cardiaco del lettore che si mette in sintonia con quello dell’autore.

Nella dimensione della lettura collettiva, invece, c’è sempre un mediatore, è lui il cuore pulsante che armonizza il ritmo del lettore e dell’autore. Un interprete che passa di continuo da una lingua a un’altra, sempre in bilico tra intimità ed estroflessione. L’obiettivo è far leggere tutti come se fossero uno: una sfida decisamente impegnativa, ma gratificante.

Questa dimensione di lettura collettiva l’hai scoperta da libraia?

No, molto prima. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di artisti, anche quando non lo erano di mestiere. Mia zia Nanna, avvocato, da bambina mi raccontava a memoria le fiabe di Italo Calvino o quelle dei fratelli Grimm: aveva una capacità narrativa sconcertante, grazie a lei l’ascolto è diventato per me uno dei primi piaceri della vita. Oggi zia Nanna ha 91 anni e continua a raccontare storie a nipoti e pronipoti con la stessa passione.

A otto anni, di nascosto da mia madre, ascoltavo i Racconti di mezzanotte su Radio 3: Edgar Allan Poe, Oscar Wilde; e in tv non mi perdevo le commedie di Gilberto Govi ed Edoardo De Filippo.

Per me il fascino della bella narrazione è sempre stato trasversale: nei generi (ho ascoltato e amato molto l’opera lirica sin da bambina), nei mezzi e anche nella lingua. Il suono della parola mi ha sempre affascinato. Carmelo Bene diceva che “La poesia è voce: scrittura è la sua eco”. Anche io sono convinta che la parola abbia un corpo sonoro irrinunciabile, e non solo in poesia.

Tutto questo bagaglio di esperienze e suggestioni come si è concretizzato nell’attività della libreria?

Dopo gli anni trascorsi in giro per l’Italia a proporre attività di formazione per insegnanti, genitori e operatori del settore, sentivo il desiderio di creare un centro culturale in cui il libro potesse anche essere acquistato. L’attività di vendita è l’ultimo anello della filiera editoriale e occuparsene è stato interessante. Avevo lavorato anni come editor confrontandomi con i colleghi del commerciale, ma riuscire ad avere il riscontro diretto del pubblico e capire se quello che hai immaginato come progettista funziona, è stato fondamentale. Un punto di osservazione molto “sano”.

 

A proposito, avete aperto una libreria in un momento decisamente poco propizio…

Il nostro commercialista continua a dire che abbiamo osato l’inosabile! E credo sia vero… Il problema è che l’editoria italiana ha diverse pecche. Innanzitutto l’assetto economico complessivo del Paese, che ha un’idea di cultura che oscilla tra una visione snobistica che vuole che con la cultura NON SI DEBBA MANGIARE (perché vendere cultura è in qualche modo deteriore), e un’altra che ritiene che con la cultura NON SI POSSA MANGIARE per definizione, perché è una cosa noiosa e non interessante.

Stare dentro questo meccanismo e dichiarare che con la cultura si mangia, si fa mangiare e si sta in salute, non solo mentale e fisica ma anche commerciale, è il primo passo per uscire da questa dinamica schizofrenica.

E lo si può fare in due modi: da un lato dimostrando che c’è un valore che deve essere portato all’oggettività e quindi fissare regole chiare, come quella del limite di sconto al 5% imposto in Francia. Solo così la concorrenza è ad armi pari. Io lettore posso decidere se lo sconto m’interessa e quindi acquistare in un non luogo come Amazon, oppure se preferisco avvalermi di servizi personalizzati sulle mie esigenze e scegliere la libreria per i miei acquisti, che è il secondo modo per reagire alla situazione di empasse in cui ci troviamo.

Cuccumeo è una libreria che vive proprio sul servizio alla persona. Stiamo attenti a consigliarti i libri, tracciamo le tue scelte e ti offriamo l’opportunità di fare incontri che possono trasmetterti contenuti interessanti.

Per esempio, da due anni abbiamo organizzato un ciclo d’incontri sul tema dell’identità e delle emozioni destinati soprattutto ai genitori e condotti da psicologi. Ogni incontro registra il tutto esaurito e sono in tanti anche i genitori maschi, di solito imprendibili…

Come funzionano questi incontri?

Gli psicologi affrontano il tema scelto da un punto di vista teorico, spiegando al genitore come capire l’emozione che il bambino vive in un determinato momento. Per esempio: se si mostra arrabbiato, si tratta realmente di rabbia o invece di tristezza?

L’obiettivo è fornire al genitore delle chiavi di decodifica da utilizzare quando, quello strano oggetto che è tuo figlio, sembra non rispondere ai comandi…

Dopo l’intervento dello psicologo entro in scena io con una serie di libri selezionati per l’occasione, titoli per adulti e bambini, e comincio ad associare all’emozione di cui abbiamo parlato un libro, spiego come l’autore la racconta questa emozione oppure come ce la fa provare attraverso la lettura. E faccio anche vedere come leggere o giocare con questi libri.

A questo punto i genitori scoprono di poter avvicinare temi e problemi con un bagaglio teorico utile e con degli strumenti facili da usare: le narrazioni. Le narrazioni sono strumenti formidabili, hanno un’incisività e un’immediatezza unica. Non solo.

Sono anche degli ottimi grimaldelli. Un genitore che non sa come affrontare una questione, partendo dalla lettura di un libro, può trovare il giusto approccio e, allo stesso tempo, sentirsi protetto…

Incontri sold out, un calendario fitto di eventi e tante collaborazioni: avete scoperto la formula magica per una libreria di successo?

cuccumeo_4Diciamo che all’interno di un piano economico triennale siamo nella situazione di tutta l’imprenditoria italiana in generale. Le librerie, come l’editoria, soffrono di una cattiva impostazione strutturale. Il primo problema è che non esiste una merce che abbia un margine di guadagno così stretto come il libro. Se io vendo qualunque altra cosa, ho un margine di almeno il 50%, per i libri arriviamo al 30-35% massimo. È matematicamente impossibile viverci. Questo vuol dire che c’è qualcosa nella filiera che non funziona.

L’altra problematica è legata alla percentuale altissima che prende la distribuzione. Ma il vizio dei vizi in Italia è l’alto tasso di cannibalismo del settore: i grandi editori sono anche i grandi distributori e questo impedisce che piccoli e medi librai ed editori possano sopravvivere.

Ma c’è un dato positivo. In un momento di crisi si sta verificando una sorta di nemesi storica: il piccolo che è vissuto con produzioni di qualità e facendo leva su una clientela di nicchia molto ‘motivata’ nell’acquisto, sta subendo meno ripercussioni rispetto ai grandi che continuano a registrare cifre negative su tutti i canali e ambiti (in Italia ormai siamo arrivati a 6000 titoli al mese, un’iperproduzione patologica). E c’è da aggiungere che il settore ragazzi è quello che dimostra la maggiore vitalità e anche quello in cui la carta continua a dimostrarsi vincente rispetto ai nuovi supporti elettronici.

Ci parli del tuo ruolo all’interno del Festival di Gavoi “Isole delle Storie”, arrivato alla sua undicesima edizione e in programma dal 4 al 6 luglio?

Sono la responsabile del settore ragazzi da otto anni. Ho iniziato a occuparmi del Festival dalla quarta edizione e tutto è nato in modo casuale. Il giorno del mio quarantesimo compleanno decisi che volevo cambiare vita e annunciai la mie dimissioni da capoprogetto del settore ragazzi di Giunti Scuola e tornai per qualche giorno a Cagliari, la mia città.

All’epoca avevo già fatto qualche esperienza nell’organizzazione di eventi e quando casualmente incontrai una delle persone del direttivo di Gavoi dell’epoca gli raccontai che da quel momento iniziava la mia vita da libero professionista. Dopo due giorni arrivò la proposta…

Come hai vissuto questo cambio di vita?

È stata un’esperienza molto bella da subito. Gavoi ha una magia particolare, la magia tipica dell’interno della Sardegna. Spesso di questa regione si ha un’immagine stereotipata, quella del mare e delle spiagge, ma non è così.

La Sardegna è anche e soprattutto il suo interno, con i suoi boschi, i suoi silenzi, la sua dimensione terrestre. E te lo dice una che viene da una città di mare e ha acqua salata nelle vene. Organizzare un festival in un piccolo paese di montagna, nella Sardegna più nascosta era una grande sfida.

E come ci siete riusciti?

Salvaguardando la dimensione intima del luogo, che è quello a cui io tengo più di ogni altra cosa, e creando occasioni d’incontro collettivo che non turbassero questo equilibrio.

 

Il festival di Gavoi non ha il format delle grandi manifestazioni, delle folle oceaniche. A Gavoi le folle sono contenute e questo vuol dire che la dimensione che predomina è quella dell’abbraccio, che nasce dal luogo e dalle caratteristiche del festival.

Un lavoro che ha portato i suoi frutti…

Dopo due anni di festival a Gavoi abbiamo vinto il Premio Andersen: è stato un riconoscimento importante. Mettere in relazione chi scrive, chi legge, chi disegna, e quanti lavorano intorno al libro come gli editori e i bibliotecari, mantenendo unite la dimensione collettiva e quella intima, è stata la mia scommessa personale.

Un’esperienza che mi ha fatto capire che quando una periferia diventa centro, lo diventa in maniera diversa, realizzando qualcosa di veramente difficile. Se nasci centro, in fondo, è facile fare il centro…

Come reagiscono gli ospiti a questo approccio?

Quando invitiamo gli autori specifichiamo che li ospiteremo per l’intera durata del Festival. Vogliamo che si godano la manifestazione sotto ogni aspetto, e non solo quando sono coinvolti in prima persona.

Vogliamo che si crei un’atmosfera propizia agli incontri e magari alla nascita di nuovi progetti. Molti incontri fortunati sono nati proprio a Gavoi, siamo un festival molto ambito! Anche se ci capita di venir visti come eccentrici.

In che senso?

Diciamo che ci piace essere originali. Per esempio, uno degli appuntamenti più attesi del festival è “Il mirto con l’autore”. Gli scrittori sono chiamati a loro insaputa sul palco e ‘costretti’ a raccontare un episodio di vita personale che ha a che fare con una loro mania o fragilità. Se riteniamo il racconto sia sufficientemente divertente gli offriamo il bicchiere di mirto, altrimenti niente.

Questo vuol dire che a Gavoi gli autori sono invitati a vivere un momento di verità sulla propria persona, fuori dalla dimensione paludata della manifestazione. È un gioco sull’ironia che punta a far uscire dal personaggio l‘uomo.

A proposito di gioco, il tema di questa edizione del festival è “Giochi di parole, parole in gioco”: ci dai qualche anticipazione sul programma?

Tra gli ospiti della sezione ragazzi ci saranno Janna Carioli, bravissima scrittrice per ragazzi e autrice televisiva, e l’illustratrice Sonia Maria Luce Possentini, vincitrici del Premio Pippi 2014 con il libro “L’alfabeto dei sentimenti” (Fatatrac). E poi Jorge Lujàn, scrittore e musicista argentino, i suoi testi hanno ispirato grandi illustratori e nei suoi spettacoli le parole e le immagini si fondono con la musica con risultati di grande poesia.

La scrittrice e matematica Chiara Valerio condurrà l’incontro con Lorenzo Cecioni, autore di “Un giorno sull’isola” (Einaudi), scritto insieme alla madre Concita De Gregorio. Tra gli ospiti anche Flavio Manzoni, designer della Ferrari, invitato a parlare della relazione tra editoria per ragazzi e design (sull’esempio di grandi illustratori e designer come Munari e Mari) ed Elena Baboni di Fatatrac, nella veste sia di scrittrice sia di intervistatrice.

In un’edizione dedicata al gioco non poteva mancare Carlo Carzan, uno dei più grandi ludologi italiani, con lui seguiremo e mapperemo in maniera molto originale i mondiali di calcio. Santo Pappalardo e Roberta Balestrucci lavoreranno invece con i ragazzi di Gavoi organizzando dei laboratori di illustrazione e di stop motion. E poi ci saranno i super creativi Blu Sole.

Quale sarà la vostra location?

La scuola elementare di Gavoi, dove l’anno scorso abbiamo ridipinto alcune aule, il cortile si trasformerà in circo e così via…

Per il festival tutto il paese si dà un gran da fare, senza badare ai ruoli. Basti pensare che la segreteria della manifestazione è anche il vicesindaco, ma in quei giorni è solo parte dello staff.

Parliamo un po’ della tua famiglia e di un biglietto in latino che tuo padre ti ha fatto trovare poche settimane fa a casa al tuo ritorno a Cagliari…

Mio padre è meravigliosamente capace di parlare in latino come in italiano. È un filosofo novantenne, ora in pensione. A 14 anni gli chiesi un libro di Dostoevskij e mi fece la prima dedica in latino, poi ha proseguito e alle dediche ha aggiunto anche dei ritratti che abbiamo pubblicato in un libro. E’ stato capace anche di tradurre in latino alcuni proverbi sardi, una cosa molto divertente. Quando vuole prenderci in giro sostiene che il latino abbia una sua indiscutibile eleganza.

 

Mamma ha avuto 7 figli (e 10 gravidanze), io sono l’ultima. Quando ero piccola decise di iscriversi all’università e di laurearsi in teologia. È stata una delle prime donne ad avere una cattedra di religione, quando c’erano solo preti in quel ruolo. Mio padre si divertiva a presentarsi come il marito dell’insegnante di religione e osservare lo stupore che suscitava nelle persone.

Cosa ti porti dentro della tua Sardegna?

Il valore del silenzio. Scherzando, dico spesso che siamo ‘sardo-muti’. La Sardegna è una terra in cui il silenzio è una componente primaria: non si possono amare le parole se non si ama il silenzio. Un artista catalano dice che il silenzio è l’originale, le parole sono la copia. Io credo che il silenzio sia la capacità di tenere la densità del senso e l’ho imparato dalle persone che mi sono state accanto.

Mio padre, per esempio, parlava con grandi silenzi e rispettava il silenzio degli altri. Erano silenzi in cui percepivi non il distacco, ma il bisogno di concentrazione. Ancora adesso cerco spesso dei luoghi di silenzio dove sentire di nuovo questa sensazione, ma in una città come Firenze non è facile. Mi manca molto il silenzio del mare, un silenzio diverso da tutti gli altri.

Prossimo sogno da tirare fuori dal cassetto?

Ho ripreso a suonare la chitarra e cantare. La nuova sfida è dare spazio nella mia vita a una cosa a cui avevo rinunciato.

Ma la musica non è un’attività troppo rumorosa per un’amante del silenzio come te?

Non proprio. La musica è fondamentalmente gestione del silenzio, nasce proprio da lì. Il silenzio in musica ha un valore enorme, fondamentale, come il bianco per chi dipinge…

 

A questo punto l’intervista è finita e potete riaprire gli occhi. Dite la verità, non sentite anche voi l’irrefrenabile voglia di tuffarvi in un mare (silenzioso) di libri? Grazie Teresa ;-)

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